Ricostruire ogni volta

ricostruireQuando suo padre morì, i beni da dividere erano meno dei fratelli e le sorelle di Anchise. Alle ragazze venne costituita una specie di dote. O almeno una serie di lenzuoli, asciugamani, camicie da notte da ricamare e stoviglie per prepararle alla vita che avrebbero potuto sperare. I maschi si divisero il mulino di Vallonga, il carro con i due buoi, la mucca da latte, il cavallo da tiro, ognuno corredato da qualche tavola di terreno. Anchise, che era poco battagliero e poco considerato in famiglia, ottenne il terreno in località Fossa.

Non era adatto a essere coltivato, troppa ombra. E non era neanche un buon posto per una casa. Periodicamente, infatti, veniva allagato dalla piena del Grande Fiume. Ma era tutto quello che Anchise aveva. Per questo, non appena il suo lavoro di bracciante gli dava tregua, correva lì a costruire la sua casa.
Dopo meno di due anni la casa fu terminata. La sensazione che ebbe entrandoci era diversa da come se la era immaginata. Era un gesto meno epico e meno simbolico e meno soddisfacente. Ma entrò nella casa e l’abitò.
Verso l’inizio di novembre il grande fiume si ingrossò e pioggia dopo pioggia il livello dell’acqua salì. Ben presto il destino della casa fu chiaro. Anchise si sedette sull’argine e la guardò sparire piano piano sotto la forza dell’acqua impaziente.
Qualcuno gli offrì una minestra, una mano, un piccolo lavoretto. Ma Anchise aveva capito cosa voleva: ricostruire la sua casa.
Era la prima cosa completamente sua che aveva posseduto e l’idea di staccarsene per sempre non gli dava pace. Calata l’acqua cominciò i lavoro e la riedificò quasi da zero. Ci mise la stessa calma, la stessa passione e un occhio un poco più esperto di prima. La casa pietra dopo pietra.
Ma il terreno era sempre nello stesso punto. Il rischio era sempre quello. E col tempo ogni rischio diventa realtà. Dopo pochi anni, quindi, dovette fare i conti con la stessa piena che gli aveva portato via tutto. La corrente limacciosa saliva e i bastoncini piantati sulla riva come sentinelle della piena venivano sommersi nel giro di poche ore. Non sembrava fermarsi. Anchise non era disperato: era solo silenzioso. Guardava ripetersi la catastrofe e l’aspettava senza una smorfia.

Arrivate le giornate di sole, il livello dell’acqua cominciò a scendere. E Anchise a ricostruire la casa. Ormai era diventato la barzelletta del paese “Deve essere impazzito! La sta ricostruendo lì, alla Fossa! Ancora una volta!”
Ma pietra dopo pietra la ricostruì. Un po’ diversa, un po’ più simile alle proprie esigenze. Ma mese dopo mese prendeva la forma di una vera casa.
Il Grande Fiume però aveva le sue liturgie, e dopo qualche anno ancora gliela demolì. Ancora una volta Anchise non si scoraggiò e si rimise all’opera.
Ricostruzione dopo ricostruzione, piena dopo piena, gli anni passavano. Ormai in paese lo consideravano un vecchio pazzo che aveva perso la ragione. Ma la sua casa, tra una piena e l’altra, era davvero ben fatta. Gli assomigliava proprio: ogni angolo si adattava perfettamente a un aspetto del suo carattere. Qualcuno, stranamente, gli invidiava persino questa casa perfetta costruita nel posto sbagliato.
Il sindaco, nei meandri di un piano regolatore che prevedeva la messa in sicurezza di talune aree, arrivò ad offrirgli un terreno sano in cambio del suo. Ma Anchise rispose no, grazie con un sorriso. Ormai era quella la sua vita.
Ricostruire. Ma non solo ricostruire: costruire e aspettare la piena. Per ricostruire ancora, per avere un rinnovato coraggio di calce e pietre.
E trovarcisi dentro ancora una volta.

33 comments

  1. “Costruire e aspettare la piena. Per ricostruire ancora…”. Questa storia, questa casa, è la storia di un uomo che cerca di costruire se stesso sempre meglio, ancora, ogni volta dopo la piena della vita che devasta. È un alzare lo sguardo di nuovo, ed amarsi ancora. Che si chiami Anchise, il preservante zoppo virgiliano, mi colpisce ancora di più. (Scusa i miei commenti, forse leggo un po’ troppo a modo mio…) ☺️
    Ma è bella questa storia, e quest’uomo vero che gli altri compatiscono perché non sanno trovare se stessi se non in ragioni minime. Grazie.

      1. Ok! :-) (scherzo, non farmi troppo intelligente…esegesi mi sembra esagerato). Si vede che tu scrivi in un modo che io riesco a leggere così. Mi piace trovare il punto “per me” in quel che leggo. Se poi coincide anche con l’intenzione di chi scrive, è una gran botta di culo…o è bello, a scelta. Vabbè, comunque mi piace questa storia, la trovo ottimista pensa un po’!

  2. Quel che ci vedo, probabilmente sbagliando, ma è l’impressione che mi ha fatto leggendo, è una sorta di allegoria: ricostruire la casa è (sarebbe) la capacità dell’uomo (in generale) di ricostruire ogni volta se stesso ripartendo dalle macerie che restano di noi dopo ogni “incidente di percorso” (leggi delusioni, disgrazie, malattie, fregature di vario genere, etc ) che a detta degli altri (chi ci conosce e/o osserva) dovrebbero averci stroncato.
    Ripeto che con tutta probabilità mi sbaglio e solo tu sai qual’era la tua intenzione scrivendo, ma è quello a cui mi ha fatto pensare.

  3. Non abbiamo un Libretto di Istruzioni per costruire la nostra vita…ognuno se lo fa a modo suo…come canta saggiamente qualcuno…Beh se dovessi scrivere il mio vorrei tanto che somigliasse a questa storia…alla storia di Anchise…pazzo( agli occhi degli altri), incompreso, ma instancabile costruttore e ricostruttore della sua vita! Bellissimo e istruttivo racconto, grazie!

      1. È tutto in quel forse…o “almeno credo”…e quest’ultima, se conosci un pò il cantante, è anche la temuta risposta che cercavi! Peggio di Keko e Titti???

  4. E’ l’eterno braccio di ferro tra l’uomo e la natura. L’uomo vuol costruire là dove non si può. La natura fa il suo corso e distrugge quelle che l’uomo ha costruito con grande fatica.

      1. Ma io lo dicevo in senso positivo: fedeli a se stessi, anche quando costa la fatica tremenda di dover sempre ricostruire tutto daccapo perché una volta ancora si è andati a sbattere… :-)

  5. Ricostruire ogni volta, ricostruirci ogni volta. Quanto amore per sè stessi, quanta forza d’animo cabarbia ci vuole quando tutto crolla e l’unica cosa che resta da fare è tenere i piedi ancorati al terreno e aspettare che passi la buriana, con il respiro sospeso e il cuore in tumulto?
    E’ un pezzo bellissimo, grazie Simone, come sempre mi fai riflettere.

  6. I commenti e le metafore evocate sono tutti affascinanti. Personalmente credo che la chiave dell’intero racconto sia in una delle ultime frasi: “Ormai quella era la sua vita”. Rassegnazione e caparbietà fuse insieme. Bello.

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