I due condottieri

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C’era una volta un condottiero. Anzi due. C’erano una volta due condottieri, due condottieri che avevano due particolarissimi destini. Anzi uno. Sì: un solo destino. Lo stesso destino in comune, solamente vissuto in modo speculare.
Per un antico patto stipulato tra i loro popoli molte generazioni prima che nascessero, all’inizio di ogni secolo i primogeniti di ciascuna stirpe regale, avrebbero dovuto marciare, uno verso l’altro alla testa della esatta metà dei rispettivi eserciti. L’incontro avrebbe sancito, per un secolo ancora, il perdurare di quell’antica alleanza.
Portare tutto l’esercito sarebbe stato incauto. E un drappello simbolico non avrebbe richiesto quello sforzo e quel perdurante impegno che ogni seria alleanza presuppone.
Per ognuno dei due popoli spostarsi in pompa magna era un’impresa tutt’altro che facile. Occorrevano mesi per attrezzarsi e anni e anni per attraversare quella distesa semideserta. Steppa, sassi, sabbia, colline, prati e ancora steppa e ancora sassi e ancora sabbia…
Grande onore e gloria spetta ad ogni regnante assume, per ventura di nascita, l’onere di guidare quella marcia.

Sono partiti ormai da cinque anni, i due condottieri. I loro messaggeri, che hanno iniziato a fare la spola da un gonfalone all’opposto, ci mettono sempre meno tempo per l’andata e ritorno. Segno che si stanno avvicinando giorno dopo giorno. All’inizio ci volevano anni, poi tanti mesi, poi solo mesi, adesso settimane che preso diventeranno giorni. Solo giorni. Tutti aspettano il momento dell’incontro con un animo diverso. Sì perché se in entrambe le sale del trono verrà messo il nuovo busto di chi ha fatto l’impresa, ogni contingente è formato da tanti e tanti uomini. Cavalieri, condottieri, notabili, scudieri, arcieri, lancieri, fabbri, maniscalchi, cuochi, sarti e tanti altri, che nella polvere delle retrovie camminano con gli altri. E ognuno di loro ha costruito un sogno per il momento dell’incontro. Un’aspettativa intima e una storia che si porterà dietro tutta la vita e probabilmente anche un po’ oltre.
Ma la storia mette a fuoco i condottieri, quando ci riesce. Non le retrovie.
Quanta parte delle loro vite di re guerrieri era passata spostandosi verso quell’incontro?
Quanta attesa, quanta felicità compressa a forza in quel preciso momento futuro?

Eccolo finalmente il giorno. Gli eserciti si sono avvistati da un’ora e hanno proceduto piano, uno verso l’altro, quasi per gustarsi il momento.
Il piccolo torrente al centro della valle di montagna sembra perfetto per l’incontro. Come se fosse una scenografia studiata. C’è tutto quanto serve per incorniciare un momento come questo (scriveranno gli storici delle due corti).
Come in una coreografia studiata, i due re condottieri improvvisano uno stop alle loro truppe. Basta un cenno col braccio alzato, in silenzio. Tutti si fermano tutti tacciono.
I sovrani, nascondendo alla perfezione l’impazienza, scendono da cavallo. Si avvicinano al torrente e cominciano a spostare sassi verso il centro. Come per costruirsi un ponte per avvicinarsi. Dopo poco il progetto è chiaro: un guado, non un ponte. Ecco cosa fanno, costruiscono un passaggio per stringersi la mano o abbracciarsi o cos’altro diavolo vorranno fare per suggellare il patto per altri cento anni.
All’inizio sono decisi, puntano verso il centro del letto poco profondo. Poi una improvvisa paura di fare finire tutto frettolosamente li porta a deviare il percorso impercettibilmente verso valle.
Tutti e due smettono di posizionare il prossimo sasso diritto in avanti. Lo mettono un po’ in giù, lungo il corso del fiume.
I sudditi sono artificiosamente silenziosi e cercano di capire. Solo gli insetti e il fiume gridano la loro tranquillità nella valle. Non gli uomini, ammutoliti.
Ma gli uomini non possono considerare il senso di inutilità che sta per avvolgere i due sovrani dopo il faticato contatto.
La curva del percorso di sassi si fa via via più netta. Sono vicini, vicinissimi, pochi metri. Ma ormai vanno in parallelo, verso valle, con i sudditi che stanno a guardare. Appiattiti nei ruoli e nei colori delle divise, da uno stupore liscio come l’olio.
Nessuno osa muoversi, guardano i due sovrani allontanarsi a valle, in questo guado senza fine.
Aspettano. Forse un minuto ancora. Forse un’ora, forse un giorno.
Aspettano la stretta di mano liberatoria che possa ancora una volta decretare la fine del viaggio di andata.
Aspettano mentre i due sovrani diventano sempre più piccoli, inghiottiti da una prospettiva nuova.

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