Lei è su quel letto. Lei fa finta di leggere e piange. È caldo, è agosto, sono in viaggio in Portogallo. Hanno buttato gli zaini in quella pensione da pochi soldi. Nessuno dei due ha abitudini e pretese di lusso. Lei lacrima piano, in un silenzio fragilissimo che lascia entrare il rumore della strada. Piange in un modo così delicato che è un peccato non fermarsi a guardarla. È la loro prima estate da sposati.
Lui fa finta di non accorgersene. Per pudore, forse. O forse per non affrontare il problema. Ma il primo singhiozzo non trattenuto fa crollare il suo nascondiglio. Si volta verso di lei e aspetta qualche secondo.
“Che cos’hai? Cosa c’è che non va?”
“Niente”
“Sei stanca?” Lui spera tanto che lei risponda di sì, per tornare in quello scomodo nascondiglio senza parole.
Lei non risponde.
“Va tutto bene?” Che frase idiota! Ma è solo un modo goffo di dimostrare che c’è, che quello che succede gli interessa.
“No, non va bene”
“Ma cos’hai?”
“Neanche questo mese avremo un bambino”
“Ma non devi preoccuparti, è normale che non arrivi subito subito” Lui non lo sa, nessuno lo sa. Lui sta solo inventando qualcosa di rassicurante. Non sopporta di vederla piangere.
Lei non risponde. Le parole e le lacrime hanno sciolto quello strano smalto di pudore che le impedivano di piangere davvero.
Lui adesso è seduto sul letto di fianco a lei, sdraiata. Le accarezza la schiena. È presente.
“Ma se poi i figli non vengono?”
“Ma dai non essere tragica, non è una cosa così meccanica. Ci vuole pazienza penso.”
“Quando torniamo da questa vacanza voglio sentire un dottore. Promettimi che andremo da un dottore.”
“Ma se sono pochi mesi che ci proviamo: aspettiamo…” Si è accorto di avere detto aspettiamo. È un po’ il motto della sua vita. Lei non sopporta questa parola. Proprio adesso che, paradossalmente, vorrebbe usarla per l’annuncio più bello.
Lui ripensa a quanto è piccolo, insignificante, inutile in quel voler consolare una paura così grande.
“Dai riposati un po’ che poi usciamo. Facciamo un giro prima di cena.”
Da dietro quegli occhi rossi lei sorride. Lentamente. Ha pazienza.
Poi era vero che ci voleva un po’ di pazienza. Ma neanche tanta.
Poi non è stato vero che sono andati da un medico.
Poi di figli ne hanno tre e l’anno prossimo sono tutti e tre alle elementari.
Poi lei ha imparato davvero ad avere pazienza.
Lui invece non si è mai liberato da quel vizio di rimandare.
uh. curioso, a volte, scoprire alcuni passaggi di vita in parte così simili. e non solo per l’innata propensione al vizio dell’attesa (che non è mica detto sia sempre un male, eh, dai, fammi spezzare una lancia).
Mi sa che è dura sostenere il valore della non azione.
no, no. ti assicuro che in molti casi è più difficile sostenere i benefici delle scelte impulsività. il tempo, anche quello dell’attesa, è molto, molto, molto amico di osservazione ed ascolto, che per me sono davvero, imprescindibilmente, preziosissimi.
Mi stai dando delle scuse in più Luca. Davvero: ho già le mie. Come se avessi accettato :-)
non sono scuse. è training autogeno ;)
Delicato, spiazzante e tenero allo stesso tempo.
Grazie Giovy.
io non ho il diritto di rispondere.
Penso che tu possa farlo, se ne hai voglia. (Io cancello senza pietà solo chi usa questo spazio per dare fastidio agli altri).
no bravo, cioe’ esatto, e’ la voglia di parlare, soprattutto di QUELL’argomento (molto simile per quanto completamente opposto nella risoluzione, e anche nelle cause forse boh) che manca. perlomeno non in maniera diretta.
saluti cmq :P
E poi quei tre bambini che ora sono alle elementari hanno un papà che sa raccontare storie bellissime.
Un abbraccio a te Simone.
e che spesso si nasconde
ci va un post che racconti la gioia dell arrivo! :)