Sono giorni che sto male in ufficio. Oltre allo stress di Carlotta da portare all’asilo, organizzarmi per riprenderla all’uscita, fare la spesa, tenere a posto la casa e pensare a mio marito, proprio questa non ci voleva. Io non sono mai stata tanto stressata. Sì, la stanchezza, la sensazione di essere sempre fuori dalla zona podio, in questa corsa a cui non ho capito bene quando mi sono iscritta. Ma io, per dire, sono una di quelle che il lunedi arriva sempre in ufficio indossando un sorriso nuovo.
Le cose da fare facciamole. E basta piangersi addosso, ché allora sì che diventa tutto pesante!
Da quando Annalisa è andata in maternità io sono stata messa al suo posto. Così, senza preavviso. Le logiche manageriali non sono sempre così lineari e trasparenti. Forse è che mi avevano chiesto in un’altra divisione e offrirmi questo ruolo da capetto doveva sembrare loro un bel contraltare.
Ho accettato. Non so dire quale fosse la quota di stimolo per la nuova sfida e quale la quota di inerzia. Ma ho accettato, senza troppe domande.
Domani Annalisa torna dalla maternità. Non è un tipo facile. Non siamo mai state amiche. A me non piace creare consensi ai margini delle riunioni. Io sono diretta. Nel bene e nel male.
Annalisa è da qualche giorno che chiama il suo vecchio team. Mercoledi torno con voi, nella valle di lacrime siete contenti? Vi tocca lavorare, eh!
Non so quanto si renda conto che il suo approccio è migliorabile. Ma si sente sicura così e nessuno glielo ha mai fatto notare.
Domani Annalisa torna dalla maternità e troverà che le cose sono cambiate. Prima di tutto che io sono al suo posto. E quel lavoro l’ho fatto bene, in questi sette mesi. Non sta a me dirlo, ma qui nessuno vuole tornare indietro. Men che meno i nostri capi. Ma nessuno ha avuto il coraggio di dirglielo.
Domani torna Annalisa e mi toccherà fare la parte di quella che le ha fatto le scarpe. Capisci? Io! Da non credere.
Cerco di prefigurarmi, a mente la situazione.
Ciao Annalisa, bentornata. Ti va di prendere un caffé? Ma sì, qui alle macchinette del terzo piano. Mi sa che dobbiamo parlare
Guarda come sai da quando sei andata via sono stata messa nel posto che era tuo. Qui come sai nessuno di noi è indispendabile e insostituibile. Adesso con il tuo ritorno immagino che siamo tutte e due in ansia. Qualcuno (sopra le nostre teste) deciderà per noi. Quello che ti offro io è la massima trasparenza e la garanzia che verso di te sono sempre stata corretta. Quello che ti chiedo, da donna, da mamma, da collega è che non diventi una guerra tra di noi. Pensaci e dimmi se ti sembra un approccio intelligente. Quanto zucchero?
Annalisa… Annalisa quanto zucchero?
Certe volte non metto mi piace perché quello che scrivi fa male. Come qui.
Non so come definirlo, ma se delle parole messe in fila in un posto inutile come questo, riescono a far provare una sensazione. Beh, allora…
Incredibile come ci si immedesimi nelle persone, anche se sbagliate, anche se insicure, anche se un po’ storte.
Sei proprio bravo, Simone!
“Siamo tutti un po’ sbagliati. Non ci sono i bravi e i cattivi. Questo è un romanzo sulla mediocrità” ha detto alla presentazione, l’autore del romanzo che sto leggendo. Se vuoi te lo segnalo.
Si, si!
sigh. due contratti a tempo indeterminato con maternità, ferie, contributi etc etc etc in un post solo. non so se ne reggo un altro così.
Luca, ma esistono. E esistono i drammi anche in quelli. Coraggio: può andare peggio. E meglio. O fai un po’ tu.
mamma mia quanto e’ attuale questa cosa. mi fa soffrire tantissimo. perche’ non e’ questa specifica situazione a fare male, ma la sensazione di essere appesi ad un esile corda che non puo’ piu’ darci nessuna certezza. e l’umanita’ del dire “che non diventi una guerra” e’ forse piu’ utopia che realta’.
Mi piace come la vedi. Grazie.
ma non finiva in maniera diversa? No, ok, va bene anche questa. Lo zucchero per me = le persone, quelle come te *
Quello è avanspettacolo. Questo è più realista.
“Sì, la stanchezza, la sensazione di essere sempre fuori dalla zona podio, in questa corsa a cui non ho capito bene quando mi sono iscritta. Ma io, per dire, sono una di quelle che il lunedi arriva sempre in ufficio indossando un sorriso nuovo.”
pare di averlo scritto io, con magone, ansia del lunedì mattina, voglia di far bene per sé, non per dimostrare qualcosa.
leggerti è sempre un piacere.
Grazie Laura. Mi fa piacere che ti ritrovi in qualche sensazione che cerco di descrivere.
Mettersi nei panni degli altri, ah, che sport scandaloso e desueto.
“Il tragico della vita è che hanno tutti le loro ragioni.”
Bellissima citazione Cri. Di chi è?
E’ tratta dal film “La regola del gioco” di Renoir (scusate l’intromissione).
Jean Renoir, La regola del gioco (il film)
Situazione dolorosa indipendentemente dal rapporto che si è creato. E’ un lavoro sporco, ma qualcuno lo dovrà pur fare…
Magari passo per triste (no, non lo sono) ma le storie che mi piace raccontare sono quelle che hanno qualcosa di ruvido.
Le dinamiche da ufficio sono come delle soap opera ormai, ho smesso da tempo di guardarle come se facessero davvero parte della mia vita.
E trovo che questo abbia notevolmente facilitato l’approccio al quotidiano.
(Cmq mi ha sorpreso che a scrivere non fosse una donna! Bravo! :))
Ma se in ufficio ci passiamo ore e ore, conviene rassegnarci a vivere. Sopravvivere sarebbe disumano.
(Bel complimento)
mi corre la precisazione…
io al lavoro ci vivo! è che uscendo da certe logiche e preoccupazioni ne sono partecipe in modo piu libero ed utile (per me e per gli altri) di prima.
ci ho messo 20 anni però, non sono una cima…. :)
(era sincero!)
Attuale e reale. E chi è stata in maternità conosce l’angoscia di non sapere cosa troverà al suo rientro. È già kolto, oggi, poter tornare al lavoro.
In maternità, in aspettativa, in missione lunga, in periodo sabbatico. Sono tutte circostanze in cui chi torna trova un posto “che non l’ha aspettato”.
Secondo me Annalisa il caffè lo prende amaro, poi non so.
Anche per me lo prende amaro.