Alici

Alici, piatto ucrinoSe qualcuno avesse potuto chiosare su quell’amore finito, avrebbe detto che fu il Destino a decidere tutto. Non certo loro, Nikolaj e Liliya, intendo. Loro su tutto quel fatalismo rinunciatario si scagliavano senza nessuna remora.
Nicokaj Drozdov nelle presentazioni, non amava definirsi Conte. Preferiva che lo conoscessero per i suoi modi, per il suo gusto e per le sue opinioni sull’arte. Non sto a raccontarvi come ogni singolo punto di questo elenco, irritasse suo padre, il Conte Vasilij Drozdov!
Un giorno, il cosiddetto signor Nikolaj Drozdov scrisse alla rivista letteraria “Il caminetto”, criticando aspramente un certo Lev Olevski, allora poeta tra i più osannati dell’impero russo, per la sua ultima opera. Acclamatissima.
Se un’opera vale, scrisse il cosiddetto signor Drozdov, non ha bisogno di portare in copertina caratteri dorati. Né tantomeno quel motto imperiale “S nami Bog” che è un vero insulto per un uomo d’arte. Quali Dei sarebbero con voi? Quelli che sorreggono le ragioni dell’Impero? Quelli del vostro presunto Fato? Oppure le Muse in persona?
La lettera si chiudeva con un perentorio invito al povero Olevski (di cui invero persino le antologie russe si son presto dimenticate) a prendersi in prima persona la responsabilità delle sue opere. Senza delegare Dei pigri o divinità dedite ad altro.
La lettera venne imprevedibilmente pubblicata. Sia pure con una vile e pomposa introduzione del Direttore della rivista, dove toccava senza precisione,  concetti che avevano a che fare con l’opinione e la libertà e le responsabilità e il diritto di dar voce.
Fu leggendo quell’intervento che Liliya Petrova, nobildonna di Odessa di età imprecisata, si decise a prendere carta e penna e scrivere al (come si firmava) signor Nikolaj Drozdov.

All’inizio la discussione non uscì dal merito della famosa lettera. E non fu un approccio tutto rose e fiori. Lei gli  rinfacciava, non a torto, di compiacersi alquanto della sua posizione di provocatore. Lui le rispondeva, in fondo confermando, che una provocazione serve quando il discorso langue.
Iniziarono, quasi senza rendersene conto, a raccontarsi.
Ognuno, preso dall’amore per la letteratura e dal coinvolgimento crescente per questo rapporto, cominciò a parlare di sé.
Si sarebbe potuto dire che i cavalli del servizio postale, consumassero i loro ferri tra l stazioni intermedie della linea Mosca-Odessa, soprattutto per Nikolaj e Liliya.
Ormai non passava giorno che, ricevuta la tanto attesa lettera, non venisse consegnata la risposta ad un servitore nel giro di un paio d’ore. Al massimo. Servitore che poi sapeva già cosa fare. Sapeva benissimo che nessuna altra incombenza, avrebbe avuto importanza maggiore.

Lettere e lettere si incalzavano. Si rincorrevano in discorsi appesi a saluti e auguri. Scandivano settimane, mesi, ormai anni. Questo strano legame si rafforzava senza mai stringersi. Senza che nessuno dei due, per convenienza e per una sorte di gioco, arrivasse ad ipotizzare un vediamoci.
Fino a quando, inaspettatamente, si accorsero di essere invitati allo stesso prestigioso, impettito e irrinunciabile evento. Residenza moscovita dell’Ambasciatore francese, Signorie Vostre, molto lieti, e dietro tutti quei fronzoli lo stesso posto nello stesso momento.

Mancavano ancora quasi tre mesi al ricevimento, ma nel loro rapporto qualcosa cambiò. Un timore, forse, di fare i conti con la realtà. O magari la rabbia ostinata per non voler considerare il loro scambio, un qualcosa di meno che pienamente reale.

Ma la corrispondenza continuava. Così Liliya Petrova ricevette l’ennesimo attesissimo plico sigillato in ceralacca. Lo aprì e, come al solito, rispose. Ma rispose l’indomani.
Disse di dispacersi, di scusarsi se per la prima volta avesse lasciato passare una notte. Tanto il servizio postale ci avrebbe messo giorni su giorni. Ma ritornava da una cena a casa del dottor Irichenko e che doveva avere esagerato con le alici preparate dalla signora. O forse con il vino bianco del Mar Caspio, di cui tanto vagheggiano al nord.
Nikolaj Drozdov lesse quella lettera. Pensò alle alici. Non tanto al ridicolo affronto, che avrebbe dovuto derivare dal non aver risposto subito. Proprio alle alici. Pensò alle alici. Alici che non sono nella cucina della sua terra. Si sentì strano, reale. La sentì distante.

Adesso Nikolaj è lì, nel suo studio, come mille volte prima. Si siede alla scrivania e alza la penna. Passa un tempo che non saprei raccontare, proprio non saprei. Capisce la distanza, lenita da migliaia di parole. La capisce così. Con quelle alici. Infine riesce a iniziare la sua lettera di risposta.
Sua Eccellenza, Michel Molnard, Ambasciatore del Regno di Francia, è con grande rammarico che le comunico che non potrò essere suo ospite al Galà del prossimo mese di Aprile.
E tutto quello che scrisse dopo, in fondo, non conta.

17 comments

  1. Alici guarda i gatti
    e i gatti muoiono nel sole
    mentre il sole a poco a poco si avvicina,
    e Cesare perduto nella pioggia
    sta aspettando da sei ore il suo amore ballerina.
    E rimane lì, a bagnarsi ancora un pò,
    e il tram di mezzanotte se ne va
    e tutto questo Alici non lo sa.

Scrivi una risposta a Donatella Zini (@DonatellaZini) Cancella risposta