I due guardiani

Il Brigantino “Ammiraglio Zaniboni” salpò nel primo pomeriggio. Considerati i giorni di navigazione necessari per giungere all’Arcipelago del Protettorato Australe, non c’era nessuna urgenza di partire all’alba.
Re Gustavo, aveva studiato con i migliori filosofi e logici di tutto il continente. E quando si pose il problema di come controllare l’isola C dell’Arcipelago, se ne volle occupare di persona.
In realtà era buffo che un’isola, per quanto sperduta nell’Oceano, si chiamasse proprio così. Isola C. Con una misera lettera dell’alfabeto, neanche la prima.

Due anni prima, la scoperta del tutto casuale. Una rotta sbagliata. E cento virate a indovinare correnti e venti in questo angolo di mondo. Dopo lo sbarco la bandiera nazionale era stata piantata sull’isola dell’approdo. E con una solennità frettolosa, l’ufficiale incollettato aveva arrogato al Regno di Re Gustavo, tutto l’arcipelago. Senza fare troppi inventari.
Solo da pochi mesi era stata rinvenuta , in una delle isole, una sorgente prodigiosa. Le notizie ufficiali parlavano solo di “scoperta senza precedenti”. Seguita da una sfilza di aggettivi abnormi e fumosi, come era nell’uso dei ciambellani di allora. Si diceva, a bassa voce, che l’acqua che scaturiva da una sorgente, potesse curare qualsiasi malattia. O forse l’invecchiamento di ogni essere vivente. O addirittura ridare la vita.
Ma qualunque prodigio contenesse, era chiaro che perdeva i suoi effetti lontano da lì. Quindi non poteva essere trasportata o immagazzinata.

Re Gustavo non mandò nessuna brigata, in questo mondo lontano e irraggiungibile. Non costruì fortini. Non spedì flotte. Nessun nemico o invasore poteva considerarsi una minaccia. Inviò solo due guardiani. Solo due. Due uomini.
Voleva un perfetto equilibrio. E, conoscendo la debolezza umana, gli parve la soluzione migliore.
Tre guardiani avrebbero finito per creare una maggioranza contro una minoranza. Quattro o più guardiani avrebbero prospettato scenari di alleanze e tradimenti. Da cinque in su il fallimento era facile da ipotizzare.
Due era la perfezione, nella sua regale mente di logico.
Nessuno dei due aveva il permesso di attingere alla fonte. L’altro lo avrebbe denunciato o addirittura (secondo la consegna) avrebbe avuto il permesso di usare le armi. Si trattava solo di vivere sull’isola. Scrivere rapporti giornalieri. Controllare che l’altro facesse lo stesso. Nulla più. Niente altro. Un compito facile, all’apparenza. Una specie di vacanza.

Scelsero due giovani ufficiali, per questo viaggio e questa permanenza che si prospettava lunga.
Di corporatura normale, buona cultura, carattere riflessivo, il tenente Giovanni Giuberti e il tenente Flavio Cittadini, sembravano essere uno lo specchio dell’altro.
Fedeli al Re e alle Leggi. Di famiglia stimata e con un passato onorevole fino all’ultima riga della scheda riservata.
I due guardiani, ancor prima di prendere servizio, percepivano l’importanza del compito. E la difficoltà di portarlo a termine. Non era come fare la guardia a un tesoro. Era di più.
Bisognava sorvegliare un qualcosa che poteva valere più di tutto il regno che servivano.
Sorvegliare poi l’altra guardia. Compagno di viaggio, di missione e di vita. Molto più di un pari grado o di un commilitone. Di più.

Avrebbero voluto fare un patto. Stringere un’alleanza più forte di quella militare. Un patto di sangue, di fratelli. Questo pensavano, parallelamente, con la faccia che diventava secca con il vento di coperta. Ognuno cercava calore ripassando a mente i propri valori, il proprio onore, la propria onorata reputazione.

Ma entrambi sentivano una vertigine fredda, quando pensavano che dovevano fare la guardia ad un essere temibile e minacciosissimo. Che avrebbe potuto portarli a qualsiasi tentazione e qualunque delitto.
Lo stesso essere che guardava ognuno di loro dallo specchio del bagno, quando la mattina si radevano.

16 comments

  1. Bellissimo!
    Anche se non c’ntra nulla, forse, mi ricorda un po’ il “Signore delle Mosche” e anche “L’Isola del tesoro.”
    :)

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